Standing ovation per Josep Roca. Magistrale è stato l’intervento sul palco di Identità di Sala dell’hermano extra-cucina de El Celler de Can Roca di Girona, costantemente tra i primi tre ristoranti più importanti al mondo per pubblico e critica. Roca non si è risparmiato e ha incantato la platea con quaranta serrati minuti di racconto supportato da suggestive fotografie di piatti e ambienti del locale catalano. Ha iniziato con i numeri: 1000 piatti, 750 calici e 80 bottiglie vuote. Quello che resta da lavare e sbarazzare alla fine di ogni servizio per soli 50 coperti è la testimonianza più concreta di un esplicito successo, che viene sì dalla forza di una cucina mai doma e sempre d’avanguardia, ma che non può prescindere dal sorriso. Di chi prepara il cibo, di chi lo porta in tavola e di chi lo mangia. Alla fine dell’esperienza, gli ospiti devono lasciare il ristorante con la gioia dipinta sul volto, perché quello è il segno della soddisfazione e l’ospitalità raggiunge il suo fine solo se il cliente è soddisfatto.


«È necessario essere disponibili perché è brutto dire di no. L’essere umano non è mai preparato a una risposta negativa». Una cena al
Celler è un’esperienza neuro-gastronomica e la differenza la fa proprio il fattore umano di chi lavora in sala. Il punto di partenza è il benessere del personale perché chi è a contatto con il cliente deve instaurare una relazione emozionale, sempre basilare in un servizio.
«La cena deve essere una coreografia emozionale, un gioco sensoriale che non si deve dimenticare. Si deve percepire intelligenza corporeo-cinestetica, tecnica, esistenziale, musicale; ci deve essere piena sintonia tra cliente, cucina e sala». La passione è il fuoco della soddisfazione, in questa direzione va guidato il personale e occorre evitare i conflitti, che sono come il ferro. Tutti cerchiamo attenzione, tutti siamo come bonsai. Per questo al
Celler c’è una psicologa che segue l’equipe per sondarne le emozioni nella convivenza, l’istruzione, le sensazioni, la gestione della persona, la cucina, la famiglia, la vita: di fatto è, sotto ogni aspetto, una rivoluzione umanistica, una filosofia post-materialista.

Se il personale è soddisfatto è pronto a percepire chi è il l’ospite e com’è il suo stato d’animo, stare attento alla sua provenienza, alle sue abitudini, al tipo di alimentazione che preferisce: la diversità della squadra è la diversità dei clienti. Lavorare per propria vanità è l’errore più grande che si possa fare in un ristorante: bisogna invece stare attenti a chi è seduto al tavolo, ai piccoli movimenti dei quarantaquattro muscoli facciali dell’essere umano, se segnano ansia, disgusto, paura o rilassatezza e felicità. Stabilire un contatto emozionale sincero. Etica e autenticità sono valori indispensabili. «Nella vita la verità trionfa sempre». Il rapporto umano tra ristoratore e ospite si concretizza nel cucinare e nel servire e i valori che animano queste azioni devono essere in primis il rispetto e la tolleranza. Questa è neuroscienza, questa è neuro-gastronomia, una forma unica, quasi artistica di ristorazione che respira sul movimento, sulla delicatezza, sulla sperimentazione sensoriale.

Foto finale di Josep Roca tra Mattia Lunelli, presidente e ceo di Cantine Ferrari, e Federico De Cesare Viola, che ha presentato la lezione del catalano
Le qualità per tenere standard così alti? «Semplicità, sacrificio e po’di talento». Avere un ristorante è un’opportunità per migliorare la vita. Testo e musica di
Josep Roca.